In fin dei conti, nel corso dei secoli, sono cambiati i mezzi, ma le tecniche di comunicazione, dai tempi della caverna, quando i cavernicoli si radunavano intorno a un fuoco per raccontarsi storie di caccia, non sono cambiate poi così tanto. Jung sosteneva che la grotta è una delle rappresentazioni dell’archetipo della Grande Madre: la magica autorità del femminile, la saggezza e l’elevatezza spirituale che trascende i limiti dell’intelletto; ciò che è benevolo, protettivo, tollerante; ciò che favorisce la crescita, la fecondità, la nutrizione; i luoghi della magica trasformazione, della rinascita; l’istinto o l’impulso soccorrevole; ciò che è segreto, occulto, tenebroso; l’abisso, il mondo dei morti; ciò che divora, seduce, intossica; ciò che genera angoscia, l’ineluttabile. La grotta viene associata a uno dei luoghi di procreazione o di nascita perché, in qualche modo, rappresenta l’utero femminile da cui sorge la vita. Gesù Cristo, tanto per citare la storia inedita di un personaggio poco conosciuto, viene fatto nascere all’interno di una grotta, al freddo e al gelo. Non nasce, forse, ma viene fatto nascere, perché quella storia, vera o falsa che sia, è ricca di simbolismi: rappresenta la riscoperta del bambino, il ritorno all’inizio, la valorizzazione delle esperienze di vita vissuta. L’inventore di questa narrazione, tuttora ignoto, merita senz’altro il premio Nobel per la comunicazione: conoscete un’altra storia, altrettanto duratura, che sia riuscita a condizionare le coscienze di miliardi di persone e che abbia permesso la creazione di uno stato potente e ricco come il Vaticano?
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