Intervista al Consigliere Sergio Ferdinandi, archeologo e giurista, dirigente generale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, membro del Consiglio superiore per i beni e le attività culturali e Vice-Presidente dell’ISMEO.
Si è conclusa da poche settimane una delle più importanti missioni archeologiche del panorama internazionale che lei ha diretto (Missione archeologica internazionale di Aruch e dell’incastellamento della Via della Seta (https://silkroad.missionearcheologica.it). Qual è il bilancio di questa prima campagna?
Il bilancio è ottimo. La missione, organizzata in pochi mesi ha dato grandi sorprese e soddisfazioni in termini di risultato scientifico. Si tratta di un progetto frutto di una intesa tra l’ISMEO e l’Institute of Archaeology and Etnography of the National Academy of Sciences of the Republic of Armenia, riconosciuto dalla Farnesina e sostenuto da partner come Il Sole 24 ore, Poste Italiane, Canon, Isweb, Weblive, Nextbites, Iet, Noema e Italian Digital Revolution. La Missione indaga, attraverso lo studio dell’incastellamento delle regioni caucasiche, l’evoluzione storica della cosiddetta Via della Seta all’interno dei sistemi di connettività a lunga percorrenza dell’Eurasia tardo-antica e medievale, sia sotto il profilo commerciale che militare. Alle attività di survey si è affiancata l’indagine stratigrafica dei complessi fortificati e chiesastici della località di Aruch posizionata lungo la strada tra le due più importanti capitali storiche dell’Armenia medievale Dvin e Ani, nonché nell’area archeologica di Shamiram, città fondata dalla leggendaria regina Semiramide. La felice sinergia che si è creata con il mondo accademico armeno promette un’intensificazione delle attività nel corso dei prossimi anni con la prosecuzione delle campagne già avviate, ma anche ulteriori progetti di ricerca, con il coinvolgimento di numerosi giovani studiosi provenienti da università italiane e straniere. Inoltre, la Via della Seta, rappresenta un patrimonio della cultura mondiale di inestimabile valore il cui studio si presta al coinvolgimento di aziende italiane interessate a investire nella promozione dell’immagine del Paese e del made in Italy.
Negli anni 2018-2019, come Capo di Gabinetto del Ministro della Pubblica Amministrazione, lei è stato artefice di un’importante rivoluzione che, ben prima del PNNR, ha posto concrete basi per il rilancio la Pubblica amministrazione italiana. Tale processo si è concretizzato anche, ma non solamente, attraverso l’innovativo varo di un massiccio piano assunzionale. Particolare attenzione è stata riservata al Ministero della Cultura; perché una così puntuale attenzione verso questo settore?
Premetto che ciò è stato possibile grazie ad un Ministro dello spessore di Giulia Bongiorno, cui non è stato adeguatamente riconosciuto il notevole e fondamentale lavoro di superamento dell’anacronistico meccanismo del turn-over, pietra angolare del rilancio della PA, del quale hanno beneficiato, senza per altro coglierne appieno le potenzialità, i Governi successivi, nonostante l’inattesa iniezione di risorse finanziarie intervenute col PNRR. Il progetto, come concepito e realizzato era quello di intervenire su tutti i gangli della macchina pubblica, dove dopo un quarto di secolo di blocchi e tagli e anni di becera campagna di demonizzazione e discutibile gestione avevano manifestato disfunzioni in termine di organizzazione e competenze, lottizzazione di poltrone, nonché un grave depauperamento del capitale umano, con inevitabili ricadute nel servizio reso ai cittadini. In quei mesi siamo intervenuti in tutti i settori del pubblico impiego, dalla sanità, ai trasporti, dalla difesa alla scuola.
Confesso, tuttavia, che anche in considerazione della mia formazione archeologica e il mio vissuto, ho dedicato una particolare attenzione al dicastero della cultura che si trovava in una situazione di drammatica difficoltà. Il nostro sistema universitario è spesso al centro di polemiche, tuttavia, riesce a mantenere un altissimo livello formativo. Solo una piccola parte dei nostri laureati riesce a trovare impieghi afferenti ai percorsi di studio intrapresi (questo apre il doloroso capitolo dell’espatrio delle nostre migliori risorse professionali) e ciò è particolarmente drammatico per le materie umanistiche nonostante il patrimonio di cui disponiamo. Le disfunzioni causate da uno scriteriato contingentamento delle risorse lavorative attuato dai governi che si sono succeduti negli ultimi decenni hanno, come facilmente prevedibile, portato ad una elevatissima età media del personale, collocato a riposo senza che potesse trasferire le competenze maturate in settori come ad esempio quello archivistico, librario, restauro, archeologico, etc… un sapere che il mondo intero ci invidia. Sono onorato di aver contribuito ad invertire la rotta in un’ottica di rilancio e corretta transizione generazionale oltre che digitale. Purtroppo, un lavoro così ben avviato non è stato perseguito con la stessa visione e determinazione dai Governi che sono seguiti; si tratta di riprendere le fila di un progetto e molto resta ancora da fare a partire dal riuscire a far riappropriare il nostro personale pubblico della dignità della propria missione istituzionale al servizio della Nazione.
Quali sono le nuove frontiere della ricerca e valorizzazione del nostro immenso patrimonio culturale, anche alla luce delle innovazioni digitali?
Il progetto di ricerca della missione archeologica in Armenia contiene già importanti indicatori dell’impiego di strumentazioni di alta tecnologia digitale attraverso l’uso di droni, stampanti 3d, foto restituzioni, etc… l’impiego delle moderne tecnologie digitali deve essere estensivamente utilizzato nei vari settori della ricerca contribuendo ad offrire prospettive e letture di situazioni e manufatti del tutto innovative. Analogamente, maggiore impulso deve essere dato alla digitalizzazione del nostro patrimonio librario ed archivistico, non solamente in chiave di preservazione ma per offrire strumenti di lavoro ai ricercatori e di fruizione al grande pubblico la cui domanda in tale direzione si è esponenzialmente accresciuta nel periodo di emergenza pandemica. Un ruolo importante potrà avere in questa direzione il metaverso applicato al mondo della cultura. Si tratta della fortunata definizione coniata nel 1995 dallo scrittore Neal Stephenson per definire il cosiddetto spatial computing ovvero una nuova dimensione del computing e del pensiero informatico dove le funzioni del computer stesso vengono spazializzate, inserite cioè nello spazio, negli oggetti, negli edifici, oppure vengono differite in uno spazio virtuale possibilmente tridimensionale come quello dei videogiochi, abitabile, percorribile, condivisibile e interattivo.
Tra poche settimane si insedierà un nuovo Governo, quali ritiene siano le priorità di intervento in ambito culturale?
La lunga esperienza di servizio a Palazzo Chigi ha maturato in me la convinzione che la madre di tutte le priorità è la scelta di profili con capacità di visione organizzativa a livello di esecutivo tout-court. Tutte le anime del Governo dovrebbero virtuosamente concorrere all’attuazione di interventi, ciascuno per le proprie competenze, in un’ottica di visione globale, dove è del tutto evidente che, data la peculiarità del nostro Paese che si stima detenga circa il 70% del patrimonio culturale mondiale, un Ministero della cultura dovrà a pieno titolo assumere un ruolo primario. La risposta è, quindi, particolarmente complessa ma volendo sintetizzare sembra evidente che nonostante una pioggia di risorse finanziarie senza precedenti, le riforme strutturali poste in essere in quest’ultimo decennio non sembrano rispondere con efficacia alla necessità di fornire gli strumenti di gestione, sviluppo e valorizzazione più efficaci. Ho ovviamente molte idee, maturate negli anni e anche nel lavoro realizzato in un osservatorio privilegiato come il Consiglio Superiore dei beni culturali, tuttavia, prima di procedere ad ulteriori riforme che richiedono comunque lunghi tempi per entrare a regime non sarebbe male immaginare una sorta di “stati generali della cultura”.
Ho, a suo tempo, espresso scetticismo rispetto a iniziative di questo genere ma credo che per il Patrimonio culturale sia necessario un ampio interessamento dei soggetti coinvolti e dei fruitori a partire dalle strutture dell’Amministrazione e del suo personale che presenta straordinarie professionalità, le Parti sociali, gli Enti locali, le università e ogni soggetto che possa fattivamente contribuire a suggerire miglioramenti nella gestione e valorizzazione di un patrimonio così eccezionale. È stucchevole ribadire che il binomio cultura-turismo sia l’equivalente dell’oro nero per la nostra Nazione ma se adeguatamente organizzato lo sarà ancora di più nel prossimo futuro rappresentando un volano per la nostra economia. È in questa cornice che vorrei vedere realizzati professionalmente i nostri giovani che si cimentano a livello universitario nel complesso studio e cui sono riservati limitatissimi sbocchi professionali. Ho sempre visto una stretta sinergia tra patrimonio culturale, economia e politiche per i giovani; aspetti che andrebbero posti sotto attenta lente di osservazione da parte di una Governo impegnato con decisione nella crescita e rilancio a livello internazionale del nostro Paese.