Nel nuovo programma del sabato mattina di Rai 2 “Star Bene” condotto da Livio Beshir, Massimiliano Neri ha un ruolo importante. Il rinomato imprenditore da anni punta di diamante del settore legato al sushi, è il fondatore di Kukai il primo sushi restaurant del Centro-Sud Italia e è uno dei protagonisti del talk al centro del format. In occasione del buon esordio in termine di critica e di auditel della trasmissione abbiamo intervistato per voi Massimiliano Neri.
Come nasce la tua passione per la cultura giapponese? E nello specifico per il Giappone?
Il mio primo approccio col Giappone avvenne a 19 anni, in realtà un po’ per caso.
Ero in Nuova Zelanda, dove lavoravo come modello, quando la mia agenzia mi propose un’esperienza in Giappone. Accetto e dopo qualche giorno mi ritrovo a Tokyo. Fu amore a prima vista, non tanto per la città in sé, quanto per i giapponesi: mi innamorai del loro approccio alla vita, del loro senso del rispetto reciproco, della loro educazione, della loro attenzione ai dettagli e della loro dedizione. Quella prima visita non durò più di un paio di mesi, tuttavia mi ripromisi che ci sarei tornato per un periodo più lungo.
Ritornato a Parigi infatti, dove ero iscritto alla facoltà di Economia, iniziai da subito delle lezioni private di lingua giapponese. Ben presto mi appassionai anche alla letteratura; divoravo letteralmente i libri di Tanizaki e Mishima soprattutto. Oramai anche a Parigi avevo più amici giapponesi che francesi. Mangiavo spessissimo piatti giapponesi, sia al ristorante, sia a casa di amici, e ovviamente a casa mia. Ero diventato un esperto di ricette giapponesi.
Ho sempre sentito come un’energia che mi attirava verso il Giappone, qualcosa di inspiegabile, chissà…forse una vita precedente in Giappone…
Ho sentito da subito che esisteva un forte legame tra me e il modo di sentire dei giapponesi. Inspiegabilmente adoravo il loro senso dell’umorismo, con il quale in realtà non ero mai entrato in contatto prima. Ancora adesso non rido con nessuno come con loro, adoro quel loro umorismo infantile, demenziale da un lato e sagace dall’altro. Un umorismo che, a differenza di quello occidentale, non si basa mai sull’offesa dell’altro ma piuttosto sul ridicolizzare se stessi.
Il luogo comune che proprio non sopporti legato ai giapponesi?
Mi fa molto ridere che tempo fa, quando cominciavo a relazionarmi con i giapponesi, quest’ultimi venivano spesso presi in giro perché fotografavano di tutto e continuamente, i piatti al ristorante compresi. Oggi, mi viene da dire che, probabilmente, erano molto più avanti di noi: con l’era dei social siamo noi europei e non i primi a scattare e condividere ogni momento e, anzi, aggiungo, che, alla fine, i giapponesi sono molto meno social di noi.
Un’altra cosa che mi colpisce è che si crede che i giapponesi siano delle persone introverse, schive, quando, in realtà, sono molto più attenti di noi al divertimento e sono altrettanto socievoli.
In cosa pensi siano simili e in cosa pensi siano diversi, rispetto a noi italiani?
Una cosa che ci accomuna molto è uno spiccato senso estetico, sebbene mi venga da dire che quello giapponese è più democratico: ho l’impressione che in Italia la bellezza sia un privilegio delle classi sociali più colte e alte, mentre per i giapponesi la bellezza è importante anche nel modo in cui incarta la frutta il fruttivendolo.
Diversi: mi ricollego alla risposta di prima, italiani caciaroni, giapponesi basso profilo. Penso che questo ben emerga dalla moda scelta dai primi rispetto ai secondi.
Il sushi, negli ultimi anni, ha avuto un vero e proprio exploit: quali pensi siano le ragioni di questo successo?
Penso che siano diversi fattori, come il colore del sushi e la sua estetica lontana da quella che si può ritrovare nelle altre tipologie di cucine con cui siamo in contatto. Un altro punto a suo favore è questa nuova attenzione che tutti hanno nei confronti di una dieta più equilibrata e salutare, il sushi si sposa bene, essendo fatto con prodotti semplici e sani.
Sogni nel cassetto?
C’è un luogo in particolare dove mi piacerebbe aprire un punto vendita, è una città che porto nel cuore, perché ci ho studiato e mi ha permesso di venire in contatto con la cultura giapponese: Parigi. Aprire lì, sarebbe un po’ come chiudere un cerchio.