ROMA. 411 morti in meno nel quinquennio 2016-2021 rispetto ai cinque anni precedenti, prendendo in esame 14 città metropolitane italiane. E’ il risultato più evidente della legge sull’omicidio stradale divenuta realtà, durante il Governo Renzi, con la legge 41 del 23 marzo 2016. Sono, invece, 2455 gli indagati per omicidio colposo e 1882 per lesioni.
Stando a quanto riporta un articolo a firma di Marina Fanara, hanno avuto luogo “2.837 incidenti mortali, che hanno causato 2.932 decessi, di cui 1.014 pedoni e 232 ciclisti, e si sta ponendo 306.746 sinistri con feriti. Considerando le grandi aree urbane, al primo posto c’è Roma dove negli ultimi 5 anni, sempre in base dall’attività della Polizia locale, si sono verificati 622 incidenti con 635 morti, seguono Milano (197 sinistri e 201 decessi), Napoli (137 incidenti mortali con 138 vittime), Torino (126 sinistri e 129 morti) e Genova (97 sinistri con 99 decessi)”.
Alessio Ribaudo del Corriere.it ha, invece, posto l’accento sugli indagati e sulle pene che potrebbero ricevere per i reati commessi. Le condanne potrebbero essere altissime “si va da due a 18 anni, nel caso in cui muoiono più persone e vengono riconosciuti in giudizio alcune aggravanti. Per esempio, aver provocato lo scontro mentre si era molto ubriachi (più di 1,5 grammi di alcol per litro di sangue e cioè tre volte oltre il livello massimo consentito) o sotto l’effetto di droghe. Non proprio casi ipotetici perché per gli agenti hanno contestato in 160 casi la guida alterata da ebbrezza alcolica e in 135 da sostanze stupefacenti mentre in altri 183 si è avuta la fuga e l’omissione di soccorso a persone poi decedute”.
“Numerose forze politiche nazionali ci hanno attaccato nella fase precedente alla creazione della legge sull’omicidio stradale, ma le statistiche oggi ci danno ragione – afferma il presidente dell’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada ODV, Alberto Pallotti -. E’ una legge che funziona, un deterrente fondamentale, un motivo di orgoglio per la nostra nazione che, in tal senso, può considerarsi eccellenza. Quando le associazioni ed i cittadini si muovono, ne scaturisce sempre qualcosa di buono. Tuttavia, l’applicabilità della legge sull’omicidio stradale lascia ancora a desiderare sotto alcuni aspetti. Siamo in un paese in cui se uccidi una persona e non hai precedenti, potresti andare semplicemente ai domiciliari e, a causa dei tempi lunghissimi procedurali, scontare totalmente a casa la condanna. Siamo in un paese in cui assassini condannati a 30 anni di carcere per aver ucciso a martellate l’amante incinta, riescono ad usufruire di permessi premio in virtù di una legge del 1975 ed a vivere in una condizione di semilibertà vigilata ormai da anni. Creiamo dei veri progetti di reinserimento sociale, ma non vanifichiamo le pene. Siamo d’accordo sul fatto che vadano applicate le misure alternative e sull’importanza del cammino di educazione del condannato, ma non si può continuare ad assistere impotenti alla giustizia che non viene garantita”.
L’avvocato Walter Rapattoni, uno dei legali rappresentanti dell’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada ODV, è sulla stessa linea di Pallotti: “La legge sull’omicidio stradale è scaturita da forte battaglia di civiltà. È una vittoria importante poiché si tratta di un grande strumento giuridico che consente di avere un deterrente sulla strage infinita delle morti sulle strade. La presenza dell’associazione nei processi fa, spesso, la differenza sulle pene inflitte. Quando ci costituiamo parte civile, le condanne sono più severe rispetto a quando non ci siamo in Tribunale. Per questo motivo e per una maggiore tutela, i familiari si avvicinano alla nostra associazione”.
L’A.I.F.V.S ODV sta promuovendo un nuovo programma in onda, in diretta, sui suoi canali ufficiale intitolato “Processo omicidio Stradale – Diamo voce a chi non può difendersi”. E’ possibile prenotarsi contattando il numero 330443441. “La trasmissione segue il successo ottenuto sui nostri canali Facebook e Youtube – dice Pallotti -. Lanciamo questo nuovo format per essere ancor più vicini alle famiglie che hanno dovuto far fronte a chiusure di processo. Vogliamo dar voce alle vittime che hanno e non hanno ottenuto giustizia nei tribunali”.