IL GENOCIDIO (MASSACRO) DI KHOJALY
Il conflitto del Nagorno Karabakh ha sempre avuto un grande impatto sulla sicurezza e lo sviluppo nella regione del Caucaso. Come è ben noto negli anni ’90 le forze armate armene hanno occupato il Nagorno Karabakh e 7 dei distretti adiacenti che appartengono legalmente all’Azerbaigian. Nel corso degli anni successivi, tramite il gruppo di Minsk dell’OSCE, ci sono stati importanti tentativi allo scopo di risolvere le continue belligeranze: purtroppo queste mediazioni non hanno avuto nessun esito positivo, con la conseguenza che il 27 settembre del 2020 è scoppiata una seconda guerra del Nagorno Karabakh. Questa è terminata con la sconfitta devastante da parte dell’Armenia, che ha dovuto restituire i 7 distretti adiacenti e alcuni territori del Nagorno Karabakh.
Durante la seconda guerra del Nagorno Karabakh la propaganda armena sosteneva che questo conflitto fosse di natura religiosa e che rappresentasse una sorta di “resistenza cristiana” contro l’aggressività turca, o addirittura contro lo jihadismo. Ma non è assolutamente così: basta ricordare che a causa dell’aggressione armena quasi un milione di azerbaigiani sono stati espulsi dal Nagorno Karabakh, dai 7 distretti adiacenti e dall’Armenia.
Una delle tragedie più drammatiche di questo primo conflitto è sicuramente quello del genocidio di Khojaly, commesso dagli armeni nei confronti degli azerbaigiani. Nella notte tra il 25 e il 26 febbraio del 1992, le forze armate armene attaccarono la città di Khojaly massacrando 613 azerbaigiani, tra cui 106 donne, 63 bambini e 70 anziani.
Uno dei testimoni del genocidio ricorda così gli eventi avvenuti: “Quando ho aperto gli occhi ho visto dei cadaveri ovunque e ho pensato: Oh mio Dio, quanti morti! E’ lì che mi sono reso conto di quanto fosse selvaggio un armeno”.
Decine di uomini, donne e bambini che cercavano di fuggire dagli aggressori armeni, vennero presi in ostaggio e vennero portati verso una destinazione incerta subendo torture e umiliazioni. Una di loro era una giovane donna di 27 anni, madre di 4 bambini fra cui una neonata che aveva soltanto 3 giorni. Una giornalista di origine ceca, che dopo diverse ore arrivò dalla Russia, ritrovò la neonata mezza congelata e la riportò alla sua mamma. La donna racconta che ogni anno, il 26 febbraio, rivive la crudeltà fatta a sua figlia.
Il luogo dell’uccisione di massa è stato filmato da un giornalista azero Chingiz Mustafayev che era accompagnato dal giornalista russo Yuri Romanov. Romanov, nel suo libro di memorie, ha descritto cosi gli eventi di cui è stato testimone: “Quando ho guardato fuori dal finestrino dell’elicottero ho visto una scena orribile che aveva dell’incredibile. L’intera area fino all’orizzonte era ricoperta di cadaveri di donne, anziani e ragazzi di qualsiasi età, dai neonati fino agli adoloscenti. Scrutando nella massa dei corpi due persone inanimate hanno catturato la mia attenzione: una vecchia stesa accanto ad una ragazzina che indossava una giacca blu. Le loro gambe erano legate fra di loro con del filo spinato e anche le mani della vecchia erano allacciate nella stessa maniera. Entrambe erano state colpite alla testa, la bambina nella sua ultima mossa stava allungando le mani verso il cadavere della nonna. Sono rimasto scioccato”.
Un neurofisiologo azero Kemal Ali espone la sua testimonianza: “Ho visto dei casi in cui gli armeni uccidevano i nostri prigioneri di guerra, ma è successo che anche i nostri soldati azeri hanno ucciso i prigioneri armeni. Quando gli armeni ci consegnavano i prigioneri di guerra alcuni erano senza le orecchie o le mani, e nella maggior parte dei casi i prigioneri azeri che erano stati scambiati morivano una settimana dopo. Quando abbiamo approfondito e fatto delle autopsie è venuto alla luce che sotto la pelle avevano della benzina: gli avevano fatto un’iniezione dicendo loro che si trattava di antibiotici, in realtà era del carburante”.
Lo Stato armeno rigetta sempre ogni accusa, ma in un’intervista rilasciata al giornalista britannico Thomas de Waal l’ex presidente armeno Serzh Sargsyan (uno degli organizzatori del genocidio di Khojaly) ha detto esattamente così: “Si, è vero che a Khojaly c’erano i civili, ma c’erano anche i soldati insieme ai civili: quando un proiettile taglia l’aria non distingue fra civili e soldati, il proiettile non ha occhi. Prima di Khojaly gli azerbaigiani pensavano di scherzare con noi e pensavano che gli armeni non alzassero le mani contro la popolazione civile, ma siamo stati capaci di infrangere questo stereotipo”.
Il 22 aprile 2010 la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha deliberato quanto segue: “Nei report disponibili da fonti indipendenti è indicato che al tempo della conquista di Khojaly nella notte tra il 25 e 26 febbraio 1992, secondo le testimonianze, centinaia di civili di origine etnica azerbaigiana vennero uccisi, feriti o presi in ostaggio”.
L’autore armeno Markar Melkonian aveva scritto e dedicato un libro al fratello Monte Melkonian (che era uno dei criminali nel genocidio di Khojaly) nel quale descrive dettagliatamente come i soldati armeni macellarono i pacifici abitanti di Khojaly: secondo l’autore alcuni abitanti, mentre stavano per raggiungere la via della salvezza, furono presi dagli armeni che cominciarono ad accoltellarli uno ad uno.
Considerando tutto ciò, nessuno può negare che il 26 febbraio 1992 è successo un crimine contro l’umanità. Gli azerbaigiani però, pretendono che questo crimine possa essere definito come “un vero e proprio genocidio”. Alcuni paesi (Messico, Colombia, Repubblica Ceca, Bosnia ed Erzogovina, Perù, Panama, Honduras, Giordania, Gibuti, Scozia, Pakistan, Sudan) e quasi la metà degli Stati Uniti (22 Stati in totale) riconoscono gli eventi di Khojaly un vero e proprio genocidio. Dobbiamo considerare innanzitutto che sia l’Azerbaigian che l’Armenia fanno parte della Convenzione per la Prevenzione e Repressione del Crimine di Genocidio: questa attesta che per genocidio si intendano gli atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Come tale, in riferimento al suddetto gruppo: uccisione dei membri, lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di essi; sottoporre deliberatamente a condizioni di vita intese a provocare la distruzione fisica, totale o parziale degli appartenenti; misure atte ad impedire nascite all’interno dello stesso; trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro. Nell’importante sentenza del 26 febbraio del 2007, La Corte internazionale di giustizia ha deliberato che sono tre gli elementi che devono essere messi in evidenzia per sostenere se un atto criminale possa qualificarsi come un genocidio:
1) L’esplicita intenzione di distruggere parzialmente o totalmente il gruppo deve essere provata in maniera convincente;
2) La distruzione che ha avuto luogo deve essere abbastanza rilevante da influire sul gruppo individuato;
3) Il genocidio deve essere commesso nell’ambito di una specifica località geografica e non deve essere esteso nel territorio in cui il conflitto sta avendo luogo.
La sentenza del 22 aprile 2010 della Corte Europea dei Diritti Umani ha qualificato gli eventi di Khojaly come un atto di particolare gravità che costituisce un crimine di guerra ed un crimine contro l’umanità.
Indipendentemente dalla qualificazione dei crimini commessi, gli eventi che sono avvenuti a Khojaly rappresentano la tragedia più drammatica del conflitto tra Armenia e Azerbaigian. È importante notare che gli ex presidenti dell’Armenia Serzh Sargsyan e Robert Kocharyan, insieme a molti altri alti ufficiali di questo paese, avevano partecipato personalmente a questi crimini commessi nei confronti dei civili azerbaigiani: purtroppo, per queste persone, non è mai stata esercitata un’azione giudiziaria penale.