Dopo il suo viaggio in Giappone, durante il quale il coreografo ha conosciuto il fondatore della danza butoh Yoshito Ohno e ha intrapreso un cammino solitario nell’antico sentiero devozionale Kumano Kodo, l’artista presenta una nuova performance a cui dà il proprio nome artistico FÜYA.
DANZA BUTOH E IKEBANA
L’arte giapponese dell’Ikebana sul palco del Teatro San Marco di Vicenza. Non solo il Giappone della danza butoh, ma sul palco con Damiano Fina ci sarà anche l’arte dell’Ikebana realizzata dall’Associazione Ukigumo e il Northern Italy Study Group, Gruppo di Studio Ufficiale ed Autorizzato dalla Iemoto (capo scuola) Sig.ra Akane Teshigahara della Scuola Ikebana Sogetsu di Tōkyō. La Scuola Ufficiale e Autorizzata all’insegnamento dell’Ikebana in Italia, presso la cui sede di Vicenza e Mantova Damiano Fina insegna regolarmente danza butoh.
FÜYA Requiem è una performance dedicata alla “Grazia”, una parola carica di significati spirituali e centrale nella ricerca dell’artista Damiano Fina. Così come nell’arte giapponese dell’ikebana la bellezza e l’armonia vengono ricercate tra equilibrio e squilibrio, nella raffinata ricerca compositiva tra elementi in bilico tra proporzione e sproporzione, nella filosofia del fiore, che coglie in sé prosperità e caducità (wabi-sabi in giapponese), la performance di danza butoh FÜYA Requiem mette in scena il corpo umano in bilico tra vita e morte.
UNA RIFLESSIONE SUL RITMO DI VITA E MORTE
“Dobbiamo ancora un gallo ad Asclepio” afferma il sottotitolo della performance, che per 45 minuti incanta il pubblico evocando suggestive citazioni della nostra storia dell’arte, dalla statuaria greca alla celebre luce dei dipinti di Caravaggio. Un progetto di respiro internazionale, che fonde la tradizione giapponese con l’estetica della storia dell’arte italiana per parlare del sacro nell’arte. Un mix che contraddistingue le opere di Damiano Fina, sia sul palco che nei suoi libri, in grado di riportare l’arte alla sua origine spirituale.
Con queste parole l’artista vicentino descrive il suo ultimo lavoro: «A cavallo tra Ottocento e Novecento la Secessione Viennese declamava un ritorno delle arti al sacro. VER SACRUM, una primavera sacra. Oggi, se guardiamo a Klimt, prestiamo più attenzione allo stile decorativo, piuttosto che al suo messaggio. Lo stesso accade quando guardiamo una statua greca o un quadro del Caravaggio. Eppure, tra un selfie e l’altro al museo, qualcuno rimane ancora incantato. Lo si vede con lo sguardo perso, rapito in un’altra dimensione. È a quello stato di estasi che guarda Requiem. Dobbiamo tornare a pregare per mezzo delle arti. Questa è l’ambizione di FÜYA Requiem. Una performance a cui ho dato il mio nome, perché è il mio manifesto. Non c’è nulla di più importante per me di questo ritorno al sacro. Abbiamo bisogno di una rivoluzione culturale e di risvegliare i nostri sensi e la nostra sensibilità. Per diventare più aperti, più luminosi, più aggraziati. In tutto questo la parola chiave è “Grazia”.