L’Open Innovation è una modalità per fare innovazione che piace sempre più alle imprese. La collaborazione con startup innovative, centri di ricerca, università e ricercatori si sta sempre più consolidando, in tutti i settori di attività e indipendentemente dalle dimensioni aziendali.
Una fotografia dello stato dell’Open Innovation in Emilia-Romagna è quella che emerge da MIA, la Mappatura dell’Innovazione Aperta realizzata da ART-ER e i cui primi risultati sono pubblicati su Innodata, il portale che elabora e rende fruibili ad amministrazioni e cittadini, i dati aperti su ricerca, innovazione e formazione in Emilia-Romagna.
Sono 83 i manager di grandi imprese, ma anche PMI, che hanno risposto alla chiamata raccontando con esempi concreti e casi di successo, la propria esperienza di Innovazione Aperta. Un campione di indagine destinato ad aumentare, ma già significativo per l’eterogeneità delle imprese intervistate, i settori di appartenenza e le attività portate avanti, tutte riconducibili al tema dell’Open Innovation.
L’indagine ha individuato 19 diverse tipologie di azioni: dall’organizzazione di idee di business interne all’azienda (strutturate da organizzazione come Amadori, Ammagamma, Emil Banca e Ghepi), a call per startup o competizione d’idee esterne (presenti in Barilla, Tetra Pak e Parmalat) dalla co-creazione di prodotti o servizi con consumatori o clienti (attività portata avanti da medie imprese come Poggipolini ma anche da startup come MarkOne o realtà industriali più piccole come DHG Group), alla partecipazione a consorzi per la ricerca e lo sviluppo finanziati da Enti Pubblici, è il caso della bolognese Graphene TX o di Image Line che fa parte del Clust-ER Agrifood. Gli 83 case industry sono tutti disponibili nel Data Visualization Report su Innodata.
La maggior parte delle aziende porta avanti progetti di Open Innovation da almeno 2 anni: il 42% fa Open Innovation da 2 a 5 anni, a cui si aggiunge un 30% di imprese con più di 6 anni di esperienza. Una piccola percentuale (circa l’8%) risulta avere una seniority che va oltre i 10 anni: le aziende con più alta seniority (più di 10 anni) operano nei settori a maggior impatto economico regionale, cioè meccatronica e motoristica, salute e benessere, agroalimentare, edilizia e costruzioni.
L’innovazione aperta crea benefici alle imprese che la praticano, principalmente su tre grandi ambiti: conoscenza di nuovi trend tecnologici e nuove opportunità di business; miglioramento dei processi interni di cambiamento; creazione di una cultura di gestione dei talenti grazie alla collaborazione con centri di università e ricerca (il 70% delle aziende del campione è interessato ad investire in percorsi di attrazione di giovani talenti).
“L’Open Innovation è ancora gestita in maniera informale, ma nelle imprese si stanno creando basi solide per un corretto approccio al tema. L’indagine fotografa uno stato dell’arte in movimento ma sicuramente l’elemento positivo è rappresentato dalla dinamicità delle PMI che, seguendo il trend dei grandi gruppi, sono sempre più attente ai nuovi strumenti per portare innovazione. Si tratta di un cambio radicale della cultura aziendale, dell’organizzazione dei processi e della gestione delle risorse umane in grado però di creare vantaggi competitivi in termini economici, di riduzione dei tempi di sviluppo dei prodotti e nell’accrescimento delle competenze – dichiara Giovanni Anceschi, presidente di ART-ER – Il nostro impegno andrà sempre più nella direzione di rafforzare e di promuovere una cultura d’impresa open.L’unica che potrà creare condizioni per far crescere la competitività delle imprese, la qualità del lavoro e le opportunità per giovani talenti, startup e ricercatori“.
In tema di Open Innovation, ART-ER gestisce EROI (Emilia-Romagna Open Innovation), una piattaforma con quasi 3.000 iscritti, gratuita e aperta a professionisti e organizzazioni che stanno affrontando processi di innovazione o che sono interessati a offrire soluzioni e competenze.
Da poche settimane, inoltre, si è concluso il progetto Talenti per l’Open Innovation, per creare connessioni tra ricercatori e imprese, che ha visto la partecipazione di 30 dottorandi delle università dell’Emilia-Romagna che hanno proposto soluzioni alle challenge lanciate da Parmalat, Unitec, Amadori, Tetra Pak e Pelliconi.