Il malato immaginario (Le Malade imaginaire), è una comédie- ballet in 3 atti del drammaturgo francese Molière (nel XVII secolo, in Francia, il termine “immaginario” significava pazzo).
La pièce venne rappresentata per la prima volta al Palais Royal il 10 febbraio 1673 dalla Troupe du Roy, con le musiche di Marc-Antoine Charpentier e le coreografie di Pierre Beauchamp.
Il 17 febbraio del 1673 Molière, che interpretava Argante, portò a termine la rappresentazione di questa commedia nonostante il suo grave stato di salute, morendo infine poche ore dopo.
L’opera è quasi un’autobiografia del drammaturgo. Intesa dal suo autore come una farsa, è inframmezzata da intermezzi musicali e balletti, inseriti all’unico scopo di compiacere i gusti del Re Luigi XIV, lasciando però intatta la struttura dell’opera.
La pièce ha come oggetto della propria satira sia la mania ipocondriaca del malato che l’imperizia dei medici che cercano di prendersene cura. Si alternano in molte scene figure caricaturali di medici dai nomi e dagli atteggiamenti ridicoli: dal dottor Purgone al farmacista Olezzanti, dal dottor Diarroicus (il prefisso greco dia, usato ancora oggi nella medicina moderna, ricorda diarrehée, termine usato in campo medico sin dal secolo XIV),, a suo figlio Tommaso.
Ognuna di queste figure è riconducibile ad un modello di medico che Molière dipinse come egoista, ipocrita, avaro e formale.
Il figlio del dottor Diarroicus, ad esempio, entra in scena nel secondo atto e viene presentato come ‘un giuggiolone che ha appena terminato gli studi e che fa ogni cosa senza grazia e nel momento sbagliato’
Tommaso impara a memoria il discorso di presentazione alla famiglia di Argante e se interrotto non è più in grado di proseguire logicamente.
Il padre, nella medesima scena, presenta questo limite intellettuale del figlio come un vanto dell’educazione che gli ha fornito (Molière, così facendo, polemizza anche sulla formazione culturale della classe medica).
Sia il dottor Diarroicus che il dottor Purgone (così come il farmacista) ostentano quasi sempre le conoscenze delle lingue antiche, con discorsi inutili e pomposi.
Giunti verso la fine della commedia, dunque, il personaggio di Beraldo sconfessa completamente la medicina definendola ‘una della più grandi follie dell’umanità’ e crede addirittura ‘ridicolo un uomo che pretende di guarirne un altro’.
Secondo il drammaturgo Sandro Bajini, Il discorso di Beraldo è una critica razionalistica circa lo scarso livello scientifico della medicina di quel tempo e pone l’attenzione della satira più che sul medico in particolare, sull’uomo vinto dalle illusioni.
Scritta nell’ultimo anno di vita di Molière, la commedia è intrisa di realismo. Lo stesso protagonista, che si presenta come un classico personaggio farsesco, pronuncia a tratti affermazioni lucide e ragionevoli, mostrando un cinismo e una disillusione che tradiscono le amare riflessioni dello stesso autore che approfitta delle occasioni comiche offerte dalla trama per introdurre in modo inaspettato un’aspra denuncia della società del suo tempo.
Questa eccezionale commedia è giunta allo Sperimentale di Pesaro il 3 maggio (repliche 4-5-6-7-e 8)
Prodotta da La Contrada – Teatro Stabile di Trieste in collaborazione con Teatro Quirino – Vittorio Gassman, è diretta da Guglielmo Ferro con i costumi in stile di Santuzza Calì, la scenografia lignea a tre piani disegnata da Fabiana Di Marco, con le musiche di Massimiliano Pace. E’ realizzata in due atti (durata 110 ‘).
Lo spettacolo -che ha visto in scena un folto gruppo di attori, tutti credibili nelle loro parti: Lisa Galantini, Antonella Piccolo, Sergio Basile, Cristiano Dessì, Pietro Casella, Maria Chiara Dimitri, Cecilia D’Amico, Rosario Coppolino – è piaciuto molto al pubblico che ha trascorso due ore privo di problemi ed ansie: non è poco.
Seduto su una sedia a rotelle su cui tintillano ampolle per i dosaggi medicinali e strumenti medicali, con una cuffia merlettata in testa, una vestaglia bianca sempre addosso, calzamaglia morbida e piedi perennemente in ciabatte, contornato da uno stuolo di medici, Solfrizzi nel ruolo del protagonista interpreta con ironia ed intelligenza la paura e la solitudine del nostro tempo, somatizzazioni di conflitti personali per i quali, purtroppo, non esiste alcuna pillola miracolosa.
Lo spettacolo è andato in scena in molti teatri:
al Manzoni di Monza dal 29 al 31 gennaio 2021, all’ Orazio Bobbio di Trieste dal 19 al 24 febbraio, al Nuovo Gian Carlo Menotti di Spoleto il 28 novembre,
al Circus Visioni di Pescara dal 29 al 30 novembre; relativamente all’anno in corso è stato presentato al Quirino di Roma dal 21 al gennaio, al Verdi di Gorizia dal 12 al 13 gennaio, al Duse di Bologna dal 14 al 16 gennaio, all’Astoria di Lerici il 19 gennaio, al Comunale di Pietrasanta l 1° febbraio, al Moderno di Grosseto il 4 febbraio, al Petrarca di Arezzo dal 5 al 6 febbraio, all’Alfieri di Torino dal 10 al 13 febbraio, al Comunale Francesco Cilea di Reggio il 3 marzo, al Vittorio Emanuele di Messina dal 5 al 6 marzo, al Politeama Greco di Lecce l’8 marzo, al Piccinni di Bari dal 10 al 13 marzo, al Curci di Barletta dal 18 al 20 marzo, al Rossini di Civitanova Marche il 30 marzo, Ai 4 Mori di Livorno il 21 aprile.