Paul- Yves Poumay
I RINTOCCHI DELLA RIVOLUZIONE
Con il Patrocinio dell’Ambasciata del Belgio
presentazione a cura della storica dell’arte Martina Scavone
Arte Borgo Gallery
Borgo Vittorio 25 | 00193 Roma
27 novembre | 10 dicembre 2021
Inaugurazione sabato 27 novembre ore 18
Il fil rouge che mette in relazione i lavori di Paul-Yves Poumay, spesso complessi e talvolta difficili da comprendere al primo approccio, è una dirompente astrazione, che con un afflato universalistico è in grado di avvolgere i fruitori, guidandoli nel complesso mondo dell’artista, un mondo fatto di verità, intensità emotiva, contraddizione. Un mondo che rispecchia dunque la realtà attuale, con i suoi eccessi, i suoi colori vibranti, la sua inesauribile ricchezza di significato. Egli esplora liberamente tutte le sfumature coloristiche, tingendo i suoi dipinti di una vasta gamma di pigmenti, che spaziano dai toni più squillanti ad altri notevolmente più cupi e inquietanti.
Paul-Yves Poumay si afferma quale eclettico interprete dell’arte del futuro, un’arte che si impegna attivamente nel sociale per combattere le ingiustizie e portare un rinnovamento capillare. È fatto tristemente noto che il sistema sia in gran parte corrotto e che spesso questo aspetto, anziché esser denunciato, venga insabbiato per lasciare l’immoralità e la degenerazione libere di prosperare. Ma l’arte è un linguaggio libero e, in quanto tale, può permettersi il lusso di portare alla luce tematiche anche molto complesse e che dividono l’opinione pubblica. La denuncia di Poumay nei confronti della società contemporanea non fa in tal senso alcuna eccezione e gli effetti della dilagante frenesia consumistica sono all’origine di gran parte delle opere facenti parte della sua produzione, esposte in questa sede a testimonianza di come il capitalismo non debba più essere considerato quale un modello al quale ispirarsi negli anni a venire.
La critica nei confronti del sistema capitalista emerge con particolare chiarezza nell’opera Colonial Past, manifesto del dramma africano. Un regno incontaminato occupa per intero lo spazio della tela, ma non esiste regno senza un re, qui rappresentato al centro del dipinto, decorato con i colori nazionali; egli non ha le fattezze di un uomo, ma piuttosto di un teschio, indossa un cappello tribale e ci viene presentato infilzato sulla lancia di un cacciatore, come simbolo di vergogna. Il suo è il sogno di un regno impossibile, in quanto l’unico mezzo di difesa di cui dispone – l’elefante che gli sta di fianco – è in realtà una mera illusione. L’elefante ha infatti sovvertito l’ordine del mondo e al re non è rimasto altro che un ideale.
Ciononostante, il tutto è stato rappresentato sui toni del blu, il colore che simboleggia la forza sacra, dunque un messaggio di speranza per comunicare che anche la peggior forma di colonialismo, spesso fonte di vergogna per la società contemporanea, ha il potenziale per diventare il punto di partenza per un futuro culturalmente e socialmente ricco, equo e solidale.
Il primitivismo evocato dalle opere di Poumay, memore dell’Art Brut o Arte grezza, è la risposta dell’artista alla crisi dell’essere umano, tanto che d’un tratto – nelle opere dell’artista-filantropo – torniamo ad essere delle creature preistoriche, prive delle tecniche di sopravvivenza tipiche dell’era contemporanea.
Un sentimento simile è inneggiato altresì dalle sculture presenti in mostra, due delle quali rappresentano esseri umani spersonalizzati, dai tratti fisionomici indefiniti e misteriosi, che per tale ragione è possibile identificare tanto con se stessi quanto, al contrario, con un “Mister Nobody” qualunque, citando testualmente il titolo di una delle sopraccitate sculture. Queste ultime, a dispetto della staticità che per definizione connota le opere scultoree, si animano, prendono vita, si dispiegano verso lo spazio circostante, entrando in dialogo con esso e prendendo parte attiva in un processo la cui parola d’ordine è, come afferma lo stesso artista, “scomporre per poi ricostruire”. Ricostruzione è proprio il concetto alla base della seconda parte della produzione artistica di Poumay, rappresentata da un gruppo di opere, presenti anch’esse in mostra, in cui l’artista rende piuttosto omaggio a tutto ciò che di buono conserva la nostra società.
I Rintocchi della Rivoluzione, dal titolo di un articolo che lo scorso anno Erika Cammerata ha dedicato all’artista belga, si condensano in questa specifica categoria di opere, le quali si fanno portavoce di un pacifico ma ferreo sommovimento. Sono infatti un invito al fruitore a comprendere quanto e fino a che punto l’arte possa contribuire nel veicolare messaggi spesso dimenticati. Trattasi di messaggi di speranza, compassione, amore e rispetto: per il prossimo, per la natura, per il regno animale.
Nell’insieme, la produzione di Paul-Yves Poumay esposta in questa sede è evidentemente caratterizzata da un linguaggio istintivo, immediato, privo di formalismi e affettazioni. Si evidenzia una totale assenza di artifici accademici nell’approccio artistico, ma piuttosto l’uso di una avvincente spontaneità, rintracciabile nei tratti immediati e sciolti del suo linguaggio figurativo. Come ha dichiarato lo stesso artista, per lui creare è vita, è un bisogno irresistibile al quale non può rinunciare, ed il suo modus operandi ne è una sincera testimonianza.
Un ringraziamento ad Anna Maria Griseri per il sostegno e per la preziosa collaborazione.