Nel 2001 è stata introdotta in Italia, per la prima volta, la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche nel nostro diritto. Più precisamente con il decreto legislativo 8 giugno numero 231 viene introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento una forma di responsabilità in sede penale degli enti.
Da sempre, nella nostra tradizione giuridica, la responsabilità penale è stata considerata conseguenza di una condotta della persona fisica, dovendosi ritenere che solo l’uomo, con la sua azione od omissione, può dar luogo ad attività suscettibili di essere sanzionate penalmente.
Un furto, un’ingiuria, una rapina possono essere commesse dall’uomo e non da un’entità astratta come può essere una persona giuridica.
Peraltro, dal dopoguerra, nel nostro ordinamento è sempre stato presente il divieto della responsabilità penale per fatto altrui, principio che ha assunto nel tempo una portata ed un’efficacia di tipo generale e comunque tale da non consentire eccezioni.
Si è voluto sempre ribadire che nell’ambito del diritto penale e dei suoi precetti è l’individuo singolarmente individuato che è chiamato a rispondere per le sue azioni od omissioni, non conformi ai dettami di un diritto, che infligge punizioni per scoraggiare i comportamenti ritenuti impropri.
Si è quindi sempre cercato di distinguere il comportamento di chi commette un’azione o pone in atto una omissione, da quello di persone che non hanno compiuto alcunché.
Per tale ragione possono essere chiamati a rispondere di reati soltanto coloro che materialmente pongono in essere i comportamenti impropri.
L’amministratore di una società per azioni se – ad esempio – commette un furto risponde come persona e non coinvolge la società che governa, perché essa è un’entità astratta, della quale egli è un mero rappresentante.
La stessa Costituzione repubblicana, reagendo alla esperienza storica del ventennio e nell’intento di vietare in assoluto pene collettive o trasmissibili a persone estranee al reato, ha esplicitamente previsto all’articolo 27 che la responsabilità penale è personale, facendo così ritenere, da un lato, che solo le persone fisiche possono commettere reati e, dall’altro, che solo l’autore del comportamento ritenuto improprio possa essere destinatario della sanzione.
Se non che, a partire dagli anni ‘70, anche per il forte ed imperante dilagare di condotte illecite adottate con l’utilizzo e attraverso il ricorso a persone giuridiche, l’Unione Europea ha raccomandato agli Stati membri di introdurre una qualche forma di responsabilità penale anche per gli enti, al fine di scoraggiare la commissione di reati dietro il paravento di enti, società o fondazioni.
In particolare la convenzione di Bruxelles del 1995 e la convenzione OCSE del 1997 raccomandavano agli Stati dell’UE di adottare misure utili a stabilire la responsabilità delle persone morali.
Superando così l’impostazione romanistica e il concetto espresso dalla tradizione latina con il principio “societas delinquere non potest“.
Con la nuova regolamentazione è stata prevista una responsabilità penale per gli enti
nel caso in cui essi commettono alcune specifiche irregolarità.
Più in particolare la responsabilità penale che grava sull’autore materiale del reato si affianca in qualche modo ad una responsabilità penale per fatto altrui, nel senso che chi rappresenta legalmente un Ente può essere chiamato a rispondere per non aver osservato un modello di comportamento, previamente adottato ed approvato dalla stessa persona giuridica (il cosiddetto modello organizzativo), in maniera tale che la deviazione fra il modello previsto e l’accadimento che genera responsabilità penale possa essere ascritta anche a chi avrebbe avuto l’onere di prevenire, ponendo in essere una condotta prevista da un modello prefigurato e che – viceversa – nel caso specifico non è stata posta in essere.
Con la nuova normativa si è quindi configurata una responsabilità penale, fondata non già sulla commissione di un fatto che costituisce reato, ma sulla rimproverabilità imputabile all’ente per non aver osservato un prefissato modello di comportamento, definito – come già detto – modello organizzativo, la cui inosservanza, in quanto – per l’appunto – motivo di rimproverabilità, genera l’imputabilità in capo alla persona giuridica.
Con la legge 231 gli enti e le società possono creare un buon modello organizzativo che prendendo spunto dalle analisi del modello gestionale di impresa preveda la mappatura dei principali processi decisionali ed organizzativi, al fine di renderli tracciabili e di rendere sempre più trasparente la gestione e la valutazione sugli aspetti di maggiore criticità nel governo dell’impresa organizzata come persona giuridica.
L’esperienza di oltre 20 anni ha dimostrato che la nuova disciplina realizza indubbiamente effetti positivi, in quanto la deterrenza costituita dal carattere penale della normativa crea una soglia di attenzione più alta rispetto ad altre modalità sanzionatorie.
Si è osservato che l’elaborazione e la gestione di un modello organizzativo possano essere motivo di appesantimento nel governo dei processi decisionali e ci si è chiesti se in qualche modo il gioco vale la candela.
A mio avviso il bilancio si può ritenere senz’altro positivo ed è auspicabile che in futuro il quadro normativo del decreto legislativo 231 possa essere sempre più migliorato ed affinato.
Il percorso resta quello di massimizzare l’aspetto organizzativo e di gestire con realismo l’aspetto punitivo, considerato che è quest’ultimo a porre i profili più problematici per la non speculare coincidenza fra autore del fatto e responsabile.
In realtà un buon equilibrio e un accorto bilanciamento delle due esigenze può contribuire a rendere il nostro Paese attento a contrastare i comportamenti impropri di quegli enti e di quelle società, che approfittando della configurazione societaria possono essere incoraggiati a realizzare pratiche scorrette o elusive degli obblighi conseguenti.
Ma ciò ovviamente deve avvenire senza stravolgere i principi generali del diritto penale.
Su tale materia – evidentemente specialistica – ho elaborato e pubblicato, con la casa editrice Cedam, il volume intitolato “Il modello organizzativo di gestione e controllo e l’organismo di vigilanza ex decreto legislativo 231/2001.”
di Stefano Lombardi, avvocato cassazionista, docente di Legislazione Nazionale ed Internazionale dei Beni Culturali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.