Perché il termine “lobby” in Italia suona male, e invece negli USA, nella Commissione Europea e praticamente in tutti gli Stati del mondo è considerata un’attività indispensabile per il buon funzionamento del sistema legislativo ed economico?
L’advocacy è l’atto di mantenere, difendere o sostenere una causa o un problema specifico. Il suo scopo è quello di portare un cambiamento, sia che ciò avvenga attraverso la sensibilizzazione del pubblico, l’aumento del sostegno o l’influenza della politica per un determinato problema. Basti pensare alla sua interdipendenza con il tessuto connettivo economico e come l’attuale crisi evidenzi la necessità di un dialogo costante tra aziende e istituzioni.
Sicuramente una nuova politica industriale con un ruolo più decisivo dello Stato nell’economia sembra essere il mantra di questo periodo. La crisi economica attuale ha posto in essere delle riflessioni sull’intervento dello Stato nel sistema economico per tentare di contrastarla. Emerge anche un tema di interdipendenza tra i risultati economici delle aziende e il contesto in cui si trovano ad operare. Uno degli aspetti che hanno accelerato questo processo è certamente la globalizzazione che, così interpretata, ha prodotto degli scompensi endemici del tessuto economico globale, polarizzando interessi e affermando il ruolo strategico di alcune potenze come la l’India e la Cina, che affermano la loro competitività grazie ai costi di produzione molto contenuti e a sistemi di gestione molto innovativi e avanzati. Questo ha prodotto non solo benefici, ma anche scompensi, sul piano economico competitivo: l’idea di immaginare che i Paesi europei possano avere una crescita progressiva come quelli appena citati, impone una riflessione di carattere politico istituzionale sull’insieme dei regolamenti di ogni singolo Paese.
Le leggi interne, il sistema sociale e l’insieme di normative influenzano inevitabilmente i vari processi, condizionano le politiche economiche, fino in taluni casi, ad aumentare la spesa pubblica. A questo punto cresce la necessità delle imprese di rapportarsi con nuovi criteri nel loro mondo di riferimento, considerando che il contesto socioeconomico risulta decisivo per decretare il successo o meno di un’azienda. Per questo motivo oggi un’azienda deve essere in grado di comunicare e interagire non solo con il suo contesto di riferimento (shareholders) ma anche che con gli interlocutori che influenzano i contesti sociali (stakeholders), quindi non rispondendo più a logiche prettamente economiche, ma anche politiche. Potremmo dire che gli affari economici di un’azienda dipendono sia dalla sua capacità di produrre a basso costo, di innovarsi e di trovare delle nuove opportunità di crescita, sia dalla sua capacità di interagire, compenetrare e presidiare un altro ambito altrettanto importante ed interdipendente, costituito da legislazioni, regolamenti, decisioni amministrative.
L’advocacy quindi oggi assume una centralità nelle decisioni sulle migliorie da apportare alle normative esistenti e il valore aggiunto che le aziende più dinamiche e proattive potrebbero creare nel perseguire i loro interessi industriali e commerciali. Questo perché la politica in se stessa non è avulsa dalla realtà sociale e dal mondo del lavoro, ma anzi ne è il fondamento, in termini di strategie future. Ed è anche il motore per creare nuove opportunità nel rispetto dei diritti e delle esigenze dei cittadini e gli obiettivi di equilibrio economico-finanziario dei mercati.
di Emanuele Salamone, esperto di advocacy e public & government affairs