Gli esseri umani sono creature colme di contraddizioni. Dotati della facoltĂ del discernimento, percepiscono la propria presunta superioritĂ intellettiva. Eppure, questa capacitĂ del cogliere l’essenzialitĂ che è all’interno delle cose e dei fatti, disvela, agli individui, l’intrinseca fragilitĂ che li governa.
L’umana gente vive nella ricerca di un significato alla propria esistenza ed è proprio questa ineliminabile necessitĂ di attribuirsi un senso che la fragilizza.
C’è chi ricerca il proprio autentico spessore nell’Amore, chi nel lavoro, chi nel rendersi testimone, chi, ancora, nell’aiutare il prossimo. Ciascuno anela a trovare la propria caratura rendendosi partecipe di uno qualunque dei valori cardine della nostra societĂ . La verità è che, in ciascuno di questi atti, continuiamo a deputare il nostro senso ad entitĂ esterne a noi stessi, rendendoci sempre meno consapevoli del male che ci infliggiamo.Â
In veritĂ , il vizio del torturarsi cercando la piĂą autentica Sostanza all’infuori di noi è malcostume tipico del mondo occidentale, nonchĂ© il piĂą radicato retaggio della cristianitĂ . Jean Paul Sartre, il padre dell’esistenzialismo, denunciò il creazionismo come propulsore del “primato della conoscenza su quello della coscienza”. Con ciò volendo far riflettere su di una circostanza particolare: l’essere umano è elemento attivo della creazione e non una semplice affermazione di un piĂą complesso affermante. L’uomo, con la propria coscienza, dona alle apparenze (al mondo esteriore) il loro compimento. D’abitudine attribuiamo tale facoltĂ solo al Creatore, condannandoci ad essere parte di un sistema preordinato, per noi privo di un significato percepibile perchĂ© effetto di calcoli che ci prescindono.
Immaginarci come portatori e fautori di significato, ci proietta nei ranghi dell’Assoluto. Tuttavia, questo non ci libera dalla umana sofferenza. Conoscerci come ordinatori delle apparenze può risolvere il dramma del dover ricercare le nostre veritĂ in qualcosa, altro da noi. Parimenti, ci carica di una enorme responsabilitĂ facendoci, ancora una volta, sentire vulnerabili. La piĂą comune sintesi agli studi sartriani recita: “l’uomo è radicalmente libero, per questo infelice”. Tale sintesi troverebbe una migliore formulazione se enunciata come segue: “l’umana gente percepisce la propria natura di portatrice di significato, per questo è infelice”.
Tutto questo è quel che “Soli idoli”, il nuovo brano di Orlando Ferrari, vuole raccogliere ed esternare, azzardando un nuovo modo di cantare l’Estate: la leggerezza nella melodia, unita alla ricerca letteraria e filosofica nel testo.
Orlando Ferrari è un artista emergente di Brescia. Si affaccia alla scena musicale con una particolare attenzione alle connessioni tra musica e letteratura ed il desiderio di unire piano alto e piano basso della narrazione, facendo di sé un simpatico propulsore culturale. Dopo “Slava Ucraina, Herojam Slava!”, un brano a sostegno della causa ucraina, pubblica “Perdono”, un singolo autobiografico contro la violenza domestica e la discriminazione. Presenta, ora, al pubblico, “Soli idoli”, un pezzo estivo per ballare e per riflettere sulla nostra condizione esistenziale.
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