Dall’autrice dell’acclamato Leonard Cohen. Manuale per vivere nella sconfitta, un nuovo appassionante volume dedicato alla rivoluzione culturale britannica dalla fine degli anni ‘50 alla fine dei ‘60. Cinema, musica, fotografia, pop art, la Swinging London e una way of life dirompente hanno cambiato la vita dei giovani e di tutta la società. Cosa ne resta? È questo il domani? Edizioni Paginauno
In copertina Julie Christie e Tom Courtenay nel film Billy il bugiardo di John Schlesinger (1963)
Milano, 23 novembre 2020 – Da dove nasce la “rivoluzione culturale” britannica degli anni Sessanta? Da dove arrivano la Swinging London, gli angry young men, la new wave cinematografica inglese, la triade pop art – pop music – pop life, lo stesso successo straordinario dei Beatles?
Questo è domani. Gioventù, cultura e rabbia nel Regno Unito 1956-1967, di Silvia Albertazzi, è il libro che racconta la svolta chiave della storia britannica: dal 1956, con la crisi di Suez e l’invasione sovietica dell’Ungheria, nulla sarà più come prima. E fino alla fine degli anni ‘60, l’Inghilterra sarà il fulcro mondiale di una rivoluzione culturale.
Il volume è nelle librerie italiane da giovedì 26 novembre, edito da Paginauno nella collana dedicata alla saggistica.
Spiega Silvia Albertazzi: «Il 1956 è un anno-chiave nella storia inglese. Mentre la crisi di Suez porta alla definitiva perdita di potere del Regno Unito sullo scacchiere mondiale, l’invasione sovietica dell’Ungheria è motivo di ripensamento degli ideali marxisti da parte di chi già ipotizzava un socialismo all’inglese. Si segnalano tre eventi al cui centro si pongono i giovani, la gente comune e l’idea di una cultura “ordinaria”, fondata sul recupero dell’esistente: il primo programma del Free Cinema, il debutto del dramma Ricorda con rabbia e la mostra This Is Tomorrow».
Questo è domani vuole dimostrare quanto questi avvenimenti del 1956 abbiano influenzato la scena culturale successiva, imponendo l’idea di una via britannica alla cultura, in grado di porsi come autentico “modo di vita”, oltre che corpus di lavoro intellettuale e immaginativo. Comune ai tre eventi è uno stesso proposito: “porre l’arte in una prospettiva spazio-temporale che confida nel futuro per essere completata”.
Si tratta ora, a più di sessant’anni di distanza, di verificare come (e se) quelle proposte sono state “completate”, osservandole da quell’allora lontanissimo futuro che oggi è il nostro presente.
L’AUTRICE
Silvia Albertazzi insegna Letteratura dei paesi di lingua inglese all’Università di Bologna. Tra i suoi lavori, Lo sguardo dell’Altro (2000; 4°rist. 2011); La letteratura postcoloniale (2013); Letteratura e fotografia (2017; 1° rist. 2018). Per Paginauno ha pubblicato Leonard Cohen. Manuale per vivere nella sconfitta (2018). Collabora con Alias, supplemento letterario de Il Manifesto.
ESTRATTO
Se Mazzetti e compagni affermano “come cineasti” che nessun film può essere troppo personale, John Osborne e Arnold Wesker potrebbero ugualmente affermarlo come drammaturghi, Alan Sillitoe come romanziere, John Lennon e Paul McCartney come musicisti e David Bailey o Don McCullin come fotografi. Il mito dell’oggettività, rigettato aspramente da Anderson per quanto attiene il documentario, è rifiutato anche dai narratori, è bandito dai palcoscenici, non trova posto nella nuova cultura britannica. Consapevoli che “le immagini parlano”, gli autori non temono di creare non solo con la pellicola, ma anche con le loro parole, con la musica, immagini che diano voce ai loro ideali, alle loro idiosincrasie, alla loro rabbia: “Ricordare (e guardarsi intorno) con rabbia può essere un inizio necessario”, scriveva Anderson nel 1956.