Il Giorno del Ricordo, una vicenda drammatica non secondaria al Giorno della Memoria per rilevanza storica e che per molti anni l’Italia ha voluto dimenticare, è stato istituito con la legge del 30 Marzo del 2004 con l’intento di commemorare, il 10 febbraio di ogni anno, tutti gli italiani torturati, assassinati e gettati nelle foibe (le fenditure carsiche usate come discariche) dalle milizie della Jugoslavia del dittatore rivoluzionario Josip Broz Tito.
La memoria delle vittime delle foibe e degli italiani costretti all’esodo dalle ex province italiane della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia è un tema che ancora divide eppure tutte quelle persone meritano, esigono di essere ricordate. Pertanto le istituzioni, i movimenti e le associazioni culturali, con dei progetti ed iniziative varie, sono chiamati a tenere acceso il ricordo di quanto è accaduto in quegli anni e che ha segnato una triste pagina storica della nostra Italia.
La strage delle Foibe e l’esodo giuliano dalmata hanno inizio nel 1943 quando, dopo tre anni di guerra, il regime fascista di Mussolini decreta il proprio fallimento con la storica riunione del gran Consiglio del Fascismo con il conseguente sfaldamento delle nostre Forze Armate. Approfittando della situazione le forze politiche comuniste del dittatore rivoluzionario Josip Broz Tito hanno scatenato i propri attacchi offensivi. Si da inizio così ad una serie di ondate di violenza.
La prima ondata esplosa dopo la firma dell’armistizio, cioè l’8 settembre del 1943 vede i partigiani jugoslavi di Tito in Istria e in Dalmazia a vendicarsi contro i fascisti che avevano amministrato quei territori con durezza, imponendo un’italianizzazione forzata. Con la caduta del regime tutti i fascisti e gli italiani non comunisti quindi vengono considerati nemici del popolo e per questo torturati e gettati nelle foibe .
I primi ad essere gettati nelle foibe furono i carabinieri, i poliziotti e le guardie di finanza, nonché i pochi militari fascisti della RSI e i collaborazionisti che non erano riusciti a scappare per tempo (in mancanza di questi, si prendevano le mogli, i figli o i genitori).
Le uccisioni avvenivano in maniera spaventosamente crudele. I condannati venivano legati l’un l’altro con un lungo filo di ferro stretto ai polsi, e schierati sugli argini delle foibe. Quindi si apriva il fuoco trapassando, a raffiche di mitra, non tutto il gruppo, ma soltanto i primi tre o quattro della catena, i quali, precipitando nell’abisso, morti o gravemente feriti, trascinavano con sé gli altri sventurati, condannati così a sopravvivere per giorni sui fondali delle voragini, sui cadaveri dei loro compagni, tra sofferenze inimmaginabili.
Le violenze perpetrate dalle milizie della Jugoslavia fanno parte quindi di quello scenario tetro che ancora una volta vede l’uomo carnefice dei suoi simili, che perpetra odio e violenza indebitamente, in maniera illogica e irrazionale.
Ma come è stato possibile che una simile tragedia sia stata confinata nel regno dell’oblio per quasi sessant’anni? Tanti, infatti, ne erano passati tra quel quadriennio 1943-47, che vide realizzarsi l’orrore delle foibe, e l’auspicato 2004, quando il Parlamento approvò la “legge Menia” (dal nome del deputato triestino Roberto Menia, che l’aveva proposta) sulla istituzione del “Giorno del Ricordo”.
La risposta va ricercata in una sorta di tacita complicità, durata decenni, tra le forze politiche centriste e cattoliche da una parte, e quelle di estrema sinistra dall’altra. Fu soltanto dopo il 1989 (con il crollo del muro di Berlino e l’autoestinzione del comunismo sovietico) che nell’impenetrabile diga del silenzio incominciò ad aprirsi qualche crepa.
Il 3 novembre 1991 l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga si recò in pellegrinaggio alla foiba di Basovizza e, in ginocchio, chiese perdono per un silenzio durato cinquant’anni. Poi arrivò la TV pubblica con la fiction Il cuore nel pozzo, interpretata fra gli altri da Beppe Fiorello. Un altro presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, si era recato, in reverente omaggio ai Caduti, davanti al sacrario di Basovizza l’11 febbraio 1993.
Così, a poco a poco, la coltre di silenzio che, per troppo tempo, era calata sulla tragedia delle terre orientali italiane, divenne sempre più sottile e finalmente tutti abbiamo potuto conoscere quante sofferenze dovettero subìre gli italiani della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia.
Di Marco Francesco Eramo
Docente di Scienze Umane