Esce il 22 ottobre il nuovo album del cantautore napoletano Il Befolko dal titolo ‘Puoi rimanere appannato?’ per l’etichetta indipendente Dischi Rurali.
Questa locuzione dialettale, tipicamente napoletana, ha ispirato un ampio ragionamento nell’artista che ne ha fatto il mezzo di traduzione per condensare il significato di tutti i brani racchiusi in esso. Essi provano a raccontare (nonché ad esorcizzare) qualche anno di vita un po’ più difficile del solito, in cui il cambiamento e l’adattamento ne hanno fatta da padrona. L’appannamento è dunque, prima di tutto, quello interiore, una condizione di opacità, di offuscamento. Un non vedere né troppo bene né troppo male, una condizione ideale per distanziarsi sufficientemente dalla realtà e per riflettere su di essa. L’appannamento non è necessariamente una condizione negativa, ma anzi probabilmente una presa di coscienza a cui tornare per ricostruire e riprogettare con più attenzione. Le canzoni si configurano infatti come una riflessione sulla vita, sui modi di vivere, su come vivere “rubando” tutto quello che si può, cercando al contempo di tenere la sofferenza a debita distanza.
E soprattutto senza diventare cinici e insensibili. Qual è la soluzione migliore? Vivere alla giornata (Almeno pe’ stasera)? Rifiutarsi di vivere per non soffrire (A M.)? Vivere soltanto quando ne valga la pena (‘A cuntrora)? Vivere della vita che scorre negli altri (Iole)? Vivere in stato di ebbrezza, sotto l’effetto di sostanze stupefacenti (‘O muorto)? Una risposta definitiva non esiste, forse ci serve un po’ tutto questo in momenti e circostanze differenti. Un portone “appannato” e cioè socchiuso, accostato, poi, è quello che lascia entrare appena un filo di luce, d’aria. Quel tanto che basta per respirare, per non tossire, per non soffocare. Quel portone che puoi aprire o chiudere del tutto, se e quando lo si desideri. Una condizione mediana, anche questa, che lascia e concede un barlume di speranza.
Il Befolko sul nuovo disco: “Dal punto di vista musicale credo che sia un album abbastanza hippie, che vuole richiamare il sound di fine anni ‘60 – inizio ‘70, anche nel modo in cui è stato registrato (batteria ripresa con quattro microfoni, basso e chitarra elettrica ripresi con microfono direttamente puntato nella cassa dell’amplificatore, voce ripresa con microfono a nastro). Credo sia un album di ritmo (A M, ‘O muorto, I che jurnata, Riesta n’atu ppoco), che rappresenta molto bene i viaggi musicali che ho compiuto e gli ascolti degli ultimi anni che pescano qui e lì in giro per il mondo (soprattutto da Africa, India e America Latina). Rispetto al primo album “Isola Metropoli” è un disco più elettrico, più meditativo, meno incentrato sulla tematica amorosa e maggiormente incentrato sul sound degli anni ‘70 (di cui si vuole in qualche modo operare una sintesi, un riepilogo, verificando se esso possa ancora essere sviscerato e riattualizzato a distanza di cinquant’anni). Forse un album più da folk inglese che non americano.
Oltre alla musica indiana (‘A cuntrora), alla cumbia peruviana e all’ afrobeat, vi è infatti qualche richiamo al progressive folk dei Fairport Convention (‘O muorto) e al progressive rock della scena di Canterbury (Riesta n’atu ppoco). Non ci sono particolari artisti a cui mi sono ispirato, l’intenzione è stata piuttosto quella di evocare degli specifici “paesaggi sonori”, richiamando una certa patina sonora sicuramente vintage, demodé, ma per quanto possibile anche contemporanea e non passatista. A posteriori, in conclusione, credo possa definirsi un album di folk sperimentale, che si propone di compiere una ricerca musicale varia, proponendo accostamenti inusuali (‘O muorto, che unisce Inghilterra celtica e Perù, oppure Iole, che unisce sitar e violini). I brani sono tutti abbastanza differenti, ad unirli c’è forse una certa brevità, una durata abbastanza contenuta (che involontariamente richiama certi brani di Pino Daniele), nonché l’utilizzo di un lessico piano, mai astruso (si sottrae a questo discorso soltanto ‘O muorto, che gioca volutamente sul mistero e sull’equivoco). Tutte le canzoni nascono da storie personali, che riguardano me o persone a me molto vicine (A M., Iole)
LE TRACCE DEL DISCO
1) A M. – Una lettera di speranza, che invita il destinatario reale ed ipotetico a lasciarsi andare, a buttarsi a capofitto nelle situazioni di vita cercando di rimuovere le proprie paure e non temendo i dolori che potrebbero sopraggiungere (un qualcosa di assolutamente formativo). Il nascondersi e il rinunciare sono infatti una forma di non-esistenza, un riparo essenzialmente ingannevole e sterile. Musicalmente siamo tra Lucio Battisti, Carlos Santana e Pino Daniele.
2) Iole – La storia di una vecchietta, mia nonna, che riflette sulla propria esistenza e si ritrova a fare un bilancio del proprio vissuto ripensando ad un passato lontano ed inafferrabile. Il desiderio di morire, nato dall’errata convinzione di non avere più molto da fare né da dare agli altri, viene spazzato via dall’improvviso arrivo di una bambina: la vecchietta comprende allora di non essere “inutile” e che la vita degli altri può scorrere in noi e pervaderci. Chamber folk scandito da violini, sitar e leggere percussioni.
3) I che jurnata – Canzone leggera ed ironica, di disimpegno, che vorrebbe richiamare l’allegria e l’energia della musica africana nonché strappare un sorriso (seppur amaro). Un flusso di coscienza, una sequela di piccole tragedie quotidiane che fanno spazientire il protagonista: il caldo asfissiante, le zanzare, le incessanti telefonate dei call center, il voler dare a tutti i costi la colpa allo straniero, gli incendi dolosi tipici dell’estate. La hit estiva di un’estate sbagliata.
4) Almeno pe’ stasera – Unico brano chitarra e voce, il più intimo dell’album, con una parte di chitarra percussiva. “Leuconoe, nec Babylonios temptaris numeros […] carpe diem, quam minimum credula postero” (Orazio, Odi, I, 11): il brano, ispirato al componimento oraziano, è un invito a vivere il presente attimo per attimo, per goderne a pieno, senza lasciarsi angosciare da quel che ancora non abbiamo vissuto e che rischia di preoccuparci inutilmente.
5) ‘O muorto – Brano criptico, misterioso, desertico, che differentemente dagli altri volutamente gioca con le parole e punta sull’equivoco, su una non piena comprensione. Canzone di divertimento, che incrocia progressive folk vagamente celtico e chicha peruviana. “Il morto” non è tanto un reale cadavere ma una sigaretta sventrata caduta in auto, buona per chiudere gli spinelli. Si parla di droghe leggere, di “paradisi artificiali” di baudelairiana memoria.
6) ‘A Cuntrora – La canzone più meditativa e bucolica del lotto, di “rassegnazione speranzosa”, dalle sonorità che rimandano alla musica indiana. Essa trae il suo nome da quella parte del giorno che per i napoletani definisce il riposino post-pranzo, in cui solitamente ci si rilassa al fresco. Sfruttando la semantica del nome, la “cuntrora” diventa “un’ora contro” e l’intera canzone una strategia per non vivere a vuoto, per non soffrire inutilmente. La propria vita viene immaginata come il letto di un fiume in cui tuffarsi soltanto qualora ne valga la pena.
7) Riesta n’atu ppoco – Brano che più di ogni altro punta sulla brevità, sulla condensazione del proprio messaggio. La principale ispirazione, seppur involontaria, è quella di alcuni brani di Pino Daniele. Musicalmente, invece, ci si trova vagamente in ambito di rock progressivo. Esso nasce poco prima della fine di una relazione, dal desiderio di condividere con la persona che si sta per perdere gli ultimi scampoli di felicità.
8) Ancora tiempo – Brano il cui titolo richiama involontariamente una canzone di Pino Daniele ed Enzo Avitabile, tra le tracce più positive dell’album nonché quella con le sonorità più contemporanee e sperimentali. Come A M., anche questo brano si configura come una lettera o un messaggio rivolto a destinatari ipotetici. Vista in questa luce, la canzone va in un certo senso a chiudere un cerchio e a fornire un ulteriore messaggio di speranza.
9) ENMNTC – Strumentale di chiusura, espediente che già si ritrova nell’album di esordio “Isola Metropoli”. Brano registrato con il cellulare, che reca un unico verso. Una momentanea dichiarazione di sconfitta, un’ammissione della propria totale assenza di volontà.
BIOGRAFIA
Il Befolko è Roberto Guardi (Napoli, ‘92). Percussionista fin dai cinque anni, scopre la chitarra acustica al liceo. Nel 2014, alle percussioni, incide ‘O vicolo ‘e ‘ll’alleria con La Maschera, mentre esordisce come Il Befolko nel 2015. A fine 2017 pubblica ‘Isola Metropoli’, che lo conduce un po’ in tutta Italia (Milano, Roma, Bologna, Palermo), nonché al Reset Festival 2019 di Torino. Tra fine 2019 e inizio 2020 ha inciso ‘Puoi rimanere appannato?’, fuori ad ottobre 2021 per Dischi Rurali. Nel mentre ha rilasciato lo strumentale ‘Giocodelsilenzio’.
Nel 2021 è tra i finalisti campani di Arezzo Wave e due sue canzoni sono selezionate per “La Santa Piccola”, film alla Biennale di Venezia.
‘Puoi Rimanere Appannato?’ L’eclettico mix di folk sperimentale del cantautore napoletano Il Befolko - Musicisti Emergenti
Ottobre 26, 2021 @ 11:10 am
[…] In collaborazione con Agenzia stampa […]