Genitori detenuti e minori al tempo dell’emergenza sanitaria da Covid – 19
L’Ass. CAMMINO evidenzia le lacune nella giurisprudenza relativa al diritto di un minore di mantenere un rapporto con i propri genitori in situazioni di detenzione.
Roma, 9/06/2021 – È trascorso oltre un anno dalla proclamazione dello stato di emergenza nazionale (art. 24 del d.lgs n. 1 del 2018) il 31 gennaio 2020 dal Consiglio del Ministri, a cui ha fatto seguito l’emanazione di numerosissimi DPCM.
Sono state introdotte misure volte a limitare gli spostamenti personali e a imporre la permanenza domiciliare, la cui efficacia, inizialmente circoscritta ai soli ambiti territoriali maggiormente interessati, è stata successivamente estesa, a partire dal DPCM del 9 marzo 2020, all’intero territorio nazionale.
Si tratta di un complesso di disposizioni che ha inciso fortemente sia sulla vita personale di ciascun individuo che sulle reazioni familiari, il cui impatto è stato maggiormente sentito in tutte quelle situazioni caratterizzate da particolare vulnerabilità, come i minori e i soggetti privati della libertà personale.
Tale criticità è stata da subito al centro di vari interventi, tra cui la richiesta dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza che pone l’attenzione sulla necessità di adottare misure urgenti per un bilanciamento tra l’esigenza di tutela della salute e quella di salvaguardia dei diritti dei minori e degli adolescenti in situazioni di aggravata vulnerabilità.
«Sulla stessa scia si è mossa l’Ass. CAMMINO – Camera Nazionale degli Avvocati per la persona, le relazioni familiari e i minorenni – dice l’Avv. Maddalena Petronelli – che è pervenuta alla stesura di un elenco di indicazioni, un decalogo, relativo alla cura e al sostegno delle persone minori di età nel cui ambito è stata ribadita, tra gli altri, la necessità del rispetto del diritto alla bigenitorialità, essendo fondamentale garantire ai minori, anche nel periodo emergenziale, la possibilità di mantenere una relazione profonda e un rapporto significativo con entrambi i genitori e continuare ad essere da questi cresciuti ed educati. Essendone evidente il rischio di compromissione in danno del genitore non collocatario o, comunque, non convivente con i minori e più in generale il pericolo di violazione dei diritti dei soggetti vulnerabili».
L’evoluzione giurisprudenziale conseguente alla normativa emergenziale dimostra come l’indicazione contenuta nel citato protocollo sia stata quanto mai opportuna per aver contribuito ad orientare il dibattito che ne è scaturito in ordine alla necessità di garantire quel difficile bilanciamento tra interessi contrapposti che ha interessato la gestione del diritto di visita dei minori di genitori separati o divorziati, ma che è rimasta, invece, del tutto inascoltata nella disciplina concernente i rapporti tra genitori detenuti e figli minori, su cui si ritiene di porre l’attenzione. Il tutto nell’ottica di sottolineare ed evidenziare quale la portata e le ripercussioni che l’emergenza sanitaria ha avuto sul piano sociale e in particolare rispetto alle relazioni di tipo familiare.
«In questo contesto rilevante appare la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria, da sempre attento alla tutela dei minori vicini agli ambienti della criminalità organizzata – spiega l’Avv. Petronelli – finalizzata a porre rimedio ad una lacuna normativa e a garantire ai figli di detenuti sottoposti al c.d. “carcere duro”, la possibilità di svolgere i previsti colloqui mediante l’uso di apparecchiature o strumenti telematici, così da rendere effettivo il diritto inviolabile dei fanciulli a mantenere rapporti significativi con entrambi i genitori, richiamato nel decalogo innanzi citato».
Il Tribunale remittente, infatti, dando atto dell’impossibilità di applicazione analogica delle disposizioni di cui dell’art. 4 del d.l. 10 maggio 2020, n. 29, poi confluite nella legge n. 70/2020, riferite ai soli detenuti in regime ordinario, ha sollevato questione di legittimità della citata normativa per contrasto con le disposizioni agli artt. 2, 3, 27 terzo comma, 30, 31 secondo comma, 32 e 117 primo comma Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 3 e 8 CEDU.
«In particolare – continua l’Avv. Petronelli – la norma incriminata porrebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra i figli minorenni di detenuti sottoposti al regime ordinario rispetto a quelli sottoposti al regime speciale di cui all’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario, non ammissibile viste le finalità proprie della detenzione, volte a recidere i legami criminali, ma non anche quelli di natura familiare se non per esigenze di ordine e di sicurezza pubblica, oltre che a giungere ad un’illegittima compressione dei diritti inviolabili del minore a intrattenere rapporti affettivi con il genitore detenuto, indispensabili a garantire un corretto sviluppo della sua personalità e una condizione di benessere psico – fisico»..
Si ravvisa inoltre la violazione delle previsioni di cui all’art. 27 Cost., poiché la limitazione imposta dalla norma in esame finisce per tradursi in un trattamento contrario al senso di umanità e alla finalità rieducativa della pena, nonché per contrasto con l’art. 117 Cost, primo comma, in relazione all’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo e dall’art. 24, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che rispettivamente vietano pene inumane e degradanti e garantiscono il diritto al rispetto della vita familiare.
Il coinvolgimento di interessi riferibili a soggetti minori e la necessità di tutelare la posizione degli stessi rispetto a un diritto, quale quello dei colloqui con i genitori, che risponde al preminente interesse dei fanciulli al mantenimento di significativi rapporti affettivi familiari, è stato ritenuto dal Tribunale rimettente l’elemento fondante la propria competenza, trattandosi di una materia attribuita alla cognizione del giudice specializzato in luogo del tribunale di sorveglianza. Tale assunto, tuttavia, non è stato condiviso dalla Consulta che, facendo riferimento alle molteplici disposizioni contenute nell’ordinamento penitenziario, nelle quali viene in rilievo l’interesse dei figli minori dei detenuti, ne ha dedotto la competenza del giudice di sorveglianza, con rigetto della questione sottoposta al suo vaglio.
In tal modo, si è lasciata sostanzialmente priva di tutela la posizione specifica dei minori coinvolti in tali situazioni, rispetto alla quale non può che prendersi atto della compromissione del diritto alla bigenitorialità operata dalla normativa emergenziale. Ciò impone, sin d subito, la necessità di una approfondita riflessione per i possibili risvolti negativi che da essa ne potranno derivare, sia con riferimento all’incidenza nella crescita psico – fisica dei minori che per la permanenza di legami familiari già difficili da salvaguardare in situazioni di c.d. normalità, analisi che dovrà necessariamente costituire la base da cui partire in vista della tanto auspicata “ripartenza”.