La vita! Perché non viviamo come avremmo potuto?
Torna al Teatro Fontana di Milano Platonov. Un modo come un altro per dire che la felicità è altrove, spettacolo firmato dalla compagnia Il Mulino di Amleto e prodotto da Elsinor Centro di Produzione Teatrale, Tpe Teatro Piemonte Europa e Festival delle Colline Torinesi.
Lo spettacolo è una finestra aperta su un Cechov quasi sconosciuto, su un testo giovanile ritrovato casualmente. Durante i tumulti della rivoluzione russa del 1917, infatti, Maria Cechov, sorella di Anton, nascose molti manoscritti e appunti del fratello in una cassetta di sicurezza a Mosca. Nel 1921 alcuni studenti sovietici riuscirono ad aprirla e scoprirono un’opera teatrale. Cechov aveva ventun anni quando la scrisse. Il testo che trovarono era incompleto, aveva moltissimi personaggi, moltissimi argomenti e tematiche, moltissima azione…Platonov, così in genere viene chiamato questo primo dramma di Cechov, è il fallimento dell’utopia del suo giovane autore che vuole raccontare la vita cogliendone appieno i più̀ profondi meccanismi. Il suo sforzo s’infrange contro la vita stessa e l’impossibilità di coglierla nella sua interezza in un dramma teatrale.
L’azione si svolge nella tenuta caduta in disgrazia di Anna Petrovna. In una calda estate trascorrono le vuote serate tra fiumi di vodka una serie di personaggi tra cui il maestro elementare Platonov, conteso tra la moglie Sasha, la stessa padrona di casa e la giovane Sofja. Della combriccola fanno anche parte Sergej Pavlovic Vojnjcev – figliastro di Anna e artista teatrale – il ricco Porfirij, il figlio Kirill, giovane medico scriteriato e, infine, Sasha, moglie tradita di Platonov. Una festa sopra la tragedia, per personaggi insolitamente comici malgrado l’insostenibile solitudine e l’inconsistenza della loro ricerca di amore.
Questo testo è generalmente considerato come “non rappresentabile”, o “impossibile da mettere in scena”. Ciò̀ che resta è un gigantesco affresco composto da brandelli di scene, dialoghi, personaggi che cercano un senso a quello che senso non può̀ avere. Che cercano una forma a quello che forma non può̀ avere. Che cercano un fine per quello che fine non ha. Un grande e meraviglioso affresco incompiuto…a cominciare dal titolo: Bezotcovščina significa infatti Orfano di padre. Come un’opera Senza Titolo. Questo è Platonov. Un modo come un altro per dire che la felicità è altrove: un’opera non finita per esseri umani non finiti, incompleti, incerti, resi fragili dal loro “voler essere” che si scontra inevitabilmente con ciò̀ che sono nella realtà̀. Come noi.
Cechov ci ha trasmesso tanta conoscenza del genere umano; è rara da trovare. Vorremmo riconsegnarla con autenticità̀ e leggerezza, per entrare nel dolore della vita senza restarne impigliati.
Il Mulino di Amleto
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NOTE DI REGIA
‹‹Certe scelte si possono fare solo con la follia dei trent’anni o con la saggezza dei sessanta”, mi ha detto una volta un famoso regista teatrale. Parto da questa frase per riavvolgere indietro il nastro che porta me e la mia compagnia a Cĕchov. La volontà di cercare un cortocircuito tra Cĕchov e il nostro essere uomini e donne, in un tempo come quello in cui viviamo, è il cuore e la carne di questo lavoro. Nella ricerca con i miei attori non cerco la chiave del personaggio, ma dell’attore stesso. E come loro vanno oltre il ruolo, così anche allo spettatore vorrei chiedere di oltrepassare quella linea di confine.
Immagino questo Platonov in uno spazio che unisca attori e spettatori. Per raccontare la tenuta di Anna e Vojinicev e la “carne umana” che la abita, ho bisogno di una vetrata, tanti bicchieri e bottiglie trasparenti come lo sguardo degli attori e le loro lacrime, un lungo tavolo dove tutti si incontrano, un video per cogliere i dettagli di questa umanità, usare il “voi” come Cĕchov per poi scivolare nel “tu”, perché il rapporto tra due persone sta cambiando.
E vestiti belli, perché questa umanità e questi attori sono belli, belli, belli e io li amo.
Tra le note di regia, dopo una filata, con i miei attori ci siamo detti che il teatro che stavamo raccontando è amore e gioia e niente più, questo raccontiamo: amore, gioia e vita. In sintesi, un allestimento scarno, non realistico ma vero, puro, che chiede al pubblico di essere e sentirsi parte della storia che viene raccontata. Avvicinare le distanze per condividere la furia, le emozioni e i dolori che esploderanno inevitabili. Uno spettacolo libero e lieve, che nasce da un grande desiderio per l’improvvisazione e l’autenticità››.
Marco Lorenzi
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